I Ricordi degli Anni ’80: L’infornatina dei Cucciddata
Nel 1986, all’età di 6 anni, ero già stanco dei miei primi 3 mesi di scuola. Mio padre mi portava con sé al forno nel pomeriggio, subito dopo pranzo, perché dovevamo occuparci dell’infornata dei “cucciddata” per i clienti.
Per chi non fosse familiare con il termine, i “cucciddata” erano i Buccellati dolci natalizi preparati dalle famiglie e successivamente portati al forno per la cottura. Le teglie erano sistemate attentamente tra tovaglie bianco-rosse a quadri o lenzuola bianche, creando un’atmosfera natalizia accogliente.
Mio padre, Calogero soprannominato “Calicchio” in dialetto, si prendeva cura di infornare con precisione le teglie di ciascun cliente. Il forno, con i suoi tre piani e un totale di 60 teglie, richiedeva un’attenzione particolare per evitare confusione tra le diverse famiglie e per assicurarsi che i dolci non si bruciassero.
Nonostante le lunghe giornate di lavoro, che iniziavano alle 15 e terminavano alle 21, era necessario quasi un mese per soddisfare tutta la clientela desiderosa di infornare i propri “cucciddata”.
Al termine dell’operazione, ogni cliente cercava di pagare l’infornatina a mio padre, il quale, con la sua risposta tipica, li rassicurava: “Chi fa BABBIAAAAA, tutto a posto…“. A quel punto, il compito passava a me.
Il cliente, desideroso di mostrarsi grato, cercava spesso di lasciarmi un po’ dei suoi “cucciddata”. La mia selezione si basava su due criteri: dovevano essere belli e decorati, e il donatore non doveva essere troppo anziano o privo di denti. In caso contrario, rinunciavo.
L’atmosfera nel forno era vivace, con discorsi tra un’infornata e l’altra che ruotavano attorno al lavoro e a vari argomenti di conversazione. La gente, reduce dalla raccolta delle olive, poteva anche presentarsi con le mani annerite, ben lontane dalle moderne precauzioni di mascherine e guanti per la manipolazione di prodotti alimentari.
Tra le centinaia di chilogrammi di dolci che passavano davanti ai miei occhi, i più preziosi erano quelli preparati dalle mie due nonnine, custoditi gelosamente nelle pentole. Nonostante il loro tentativo di nasconderli, con astuzia riuscivo a scovarli per rubare qualche secondo di scelta tra le forme dei miei “cucciddata”, prima che un urlo avvertisse della mia incursione segreta e disturbasse la tranquillità della cucina.
Così, mentre i dolci natalizi cuocevano nel forno, la comunità viveva la sua vita quotidiana, fatta di piccoli gesti, di ricordi familiari e di storie che rendevano gli anni ’80 un periodo unico e affascinante, in cui il profumo dei dolci si mescolava con l’aria densa di mistero che circondava Gaspare Perniciaro, il “boss” di quegli anni.